Una marca tipografica prima ferrarese poi modenese (CNCM 1970 ; U568)
Sappiamo che una marca tipografica utilizzata da Francesco Rossi, a Ferarra, intorno alla metà del '500, finisce a Modena con certezza nei primi anni del secolo seguente, quando figura in edizioni sottoscritte da Giovanni Maria Verdi. Fra i due nomi colorati si inserisce probabilmente quello dei Gadaldini, tipografi modenesi, i principali del XVI secolo, a cui è in qualche modo legato il passaggio di questo legno da Ferarra a Modena. Si rimanda, in proposito, alla pagina dedicata a due edizioncine giuridiche di argomento modenese, pubblicate senza luogo di stampa e nome dello stampatore nel 1595 e nel 1596, dove la marca in questione figura sul frontespizio.
Venendo all'immagine, è stata spesso identificata come una scena che ritrae maestro e allievo, probabilmente basandosi soprattutto sul motto che la incornicia: Non mihi sed tibi fili. E questo vale per entrambe le varianti della marca che ci interessa qui. Una è questa che finirà a Modena: CNCM 1970 ; U568 -- mm 122 (h) x 100 (l). L'altra è una sua versione precedente, con una diversa cornice (e sembra comunque un unico legno, anche l'ovale interno per quanto simile è diverso nei due casi): CNCM 199 ; V61-Z821: mm 77 (h) x 72 (l).
È questa prima versione che Zappella (Z, p. 238-239), riferendola a Francesco Rossi, sistema appunto alla voce "Maestro e allievo" e descrive così:
Maestro ed alunno intento a scrivere su di un tavolino. Dalla finestra, che si apre sullo sfondo, si intravede uno squarcio di paesaggio collinoso.
E Vaccaro (V, p. 92), sempre attribuendola a Francesco Rossi e con la precisazione che "fu usata spesso per il Ginnasio di Ferrara":
Il maestro e l'allievo. Il maestro un uomo barbuto sta seduto davanti ad un tavolino sul quale si china un fanciullo in atto di scrivere.
Perché la marca commentata sia proprio quella a cui ci si riferisce qui bisogna aspettare Edit16 e Inter omnes. Il legame ai tipografi che ne hanno fatto uso riguarda sempre Francesco Rossi il giovane, con sole tre edizioni stampate tra 1556 e 1557. Ecco la nota di Inter omnes, p. 198:
Simile nell'impostazione alla Z821, di dimensioni minori. La scena raffigurata all'interno dell'ovale è stata descritta come una lezione di scrittura (il maestro, l'uomo barbuto a sinistra, dà istruzioni all'allievo, il ragazzo a destra, che sarebbe intento a scrivere), ma ad un esame più approfondito sembra che l'uomo, che impugna un tampone con la destra e una spugna con la sinistra, stia spruzzando un liquido su qualcosa di bollente che il ragazzo versa con una sorta di cucchiaio e da cui si leva del fumo; nella mano sinistra l'allievo stringe una specie di stilo con un uncino all'estremità. Potrebbe essere interpretata come la rappresentazione di un'operazione preliminare all'atto dello scrivere: la preparazione delle tavolette cerate (il ragazzo verserebbe cera fusa sulla base di legno e l'uomo la raffredderebbe con l'acqua), oppure come la lezione pratica di un artigiano (un fonditore?) al proprio figlio.
Guardando infatti l'immagine con più attenzione, è abbastanza chiaro che nessuno qui sta scrivendo, e abbiamo invece a che fare con la spugna e il liquido spruzzato su qualcosa di bollente di cui parla Inter omnes (vediamo il fumo che si alza). D'altra parte, nella mano sinistra l'allievo non stringe "una specie di stilo con un uncino all'estremità" ma quello che sembra essere il piatto di una piccola bilancia.
La produzione dei caratteri per la stampa, la loro fusione, di cui già parlava Maria Goldoni riprendendo letteralmente la prima indicazione di Vicini (Legni incisi 86, p. 63: "negli Statuti di S. Felice il Verdi usa la marca del fonditore di caratteri"; cfr. Vicini, p. 514), sembra la spiegazione più verosimile.
vedi anche:
l'insieme delle pagine sui Gadaldini