vignette xilografiche


stemma di Modena

vignetta del *De die* di B. Angeli

stemma estense

stemma di Modena

[a cura di a.l.]

Donnola/ermellino

Frontespizio di: B. Angeli, De die ...Nell'animale che sta sotto la corona d'alloro, e attribuisce a sé stesso la vittoria col motto "MIHI", riconosciamo un ermellino, o una donnola.

In Bettini 1998, p. 144-145, si ha un quadro generale sulla grande famiglia delle mustelidae, con relative sub-famiglie e ulteriori suddivisioni fino al genus mustela. Del genus mustela fa parte la donnola (mustela nivalis), diffusa anche in Italia, mentre da noi è assente la mustela erminea, l'ermellino, che si trova invece nell'Europa settentrionale.

Sia Bettini, sia Charbonneau-Lassay, p. 235, sia Musacchio 2001, p. 172, concordano sul fatto che donnola e ermellino, dal punto di vista del loro significato e delle credenze che li riguardano, sono in gran parte intercambiabili.

Due filoni sembrano rilevanti per spiegare il senso della nostra immagine: la donnola nemico dei serpenti e in particolare del basilisco; l'ermellino come simbolo di purezza.

La donnola nemico dei serpenti e in particolare del basilisco

Les anciens n'ignoraient pas les services que rend la belette en détruisant les rats, souris, mulots, murasaignes et autres petits ravageurs. Phèdre nous en est garant dans ses fables. Pline ajoute que les deux espèces européennes de belettes [ermellino e donnola] font une guerre acharnée aux serpents, et que leur fiel est un remède efficace contre les morsures des animaux venimeux. J'ai entendu dire aux paysans du Bocage poitevin que jamais les vipères ne demeurent où les belettes établissent leurs trous. Aristote affirme la même chose [...].

Les auteurs des Bestiaires et autres symbolistes du Moyen-âge ont travaillé d'après ces données.

Pline, encore, nous dit
[…] que le plus terrible des reptiles, le basilic, trouve dans la belette son plus implacable vainqueur. [...] Et ailleurs il affirme que la belette pursuit d'elle-même le basilic dans son antre qui se reconnaît à ce que tout est brulé à l'entour par l'haleine du reptile. Alors, rien que par son odeur, la belette le tue, et meurt en même temps que lui. Tous les anciens symbolistes chrétiens ont retenu ce duel dans lequel le petit animal triomphe du plus redoutable des monstres [...]. [Charbonneau-Lasay, p. 320-321]

L'ermellino come simbolo di purezza

L'imagination populaire d'autrefois a fait de l'hermine un animal amphibie qui ne fréquenterait que les eaux très limpides, les prés ou les bois fleuris et moussus. Elle détesterait la fange au point de se laisser prendre et mettre à mort par ses ennemis plutôt que de fouler un sol boueux, et de ternir par là sa robe immaculéè. [...]

S'emparant de cette dernière fiction, l'héraldique médiévale a saisi l'hermine pour en faire l'image emblématique de l'homme décidé à tout pour sauvegarder sa propreté de conscience, l'image, notamment, du chevalier parfait qui préfère subir tous les autres malheurs plutôt que de souiller son nom et son blason par le moindre acte contraire à la loyauté, à la fidélité, à l'honneur chevaleresques. [Charbonneau-Lasay, p. 324]

medaglia di Federico da MontefeltroGuelfi Camaiani, p. 58, registra l'ermellino come simboleggiante nell'araldica incorruttibilità, purezza, principesche origini. Charbonneau-Lassay ricorda i duchi di Bretagna: nei loro castelli, dice, si incontra dappertutto l'immagine dell'ermellino accompagnata dal motto "Potius mori quam foedari", meglio la morte che macchiarsi.

Stessa immagine e stesso significato troviamo più tardi in Italia, a Urbino, adottati da Federico da Montefeltro. L'Ordine dell'Ermellino, istituito fra XIV e XV secolo dai duchi di Bretagna, era infatti rinato con Ferdinando d'Aragona, il quale ne aveva insignito nel 1474 proprio il signore di Urbino (ma anche, nel 1488, Lodovico Sforza, e per lui Leonardo dipinse la Dama con l'ermellino). L'ermellino di Federico, accompagnato dal motto "Non mai", lo vediamo nelle tarsie degli studioli di Urbino e di Gubbio.

Significativa anche la postura dell'animale: al di sotto di un nastro col motto, visto di profilo, e con una delle due zampe anteriori alzate proprio come nella nostra vignetta.

particolare dalla parete nord dello studiolo di Gubbio

Basilisco

basilisco e donnola, ms. del XV sec.Il basilisco è nella Grecia antica il re dei serpenti, e di qui il suo nome: Basileus, re. Ma le prime illustrazioni che lo riguardano risalgono al medio evo, quando diventa un mostro metà serpente e metà gallo. Così lo ritraggono i bestiari, mentre alcune immagini del Cinque e Seicento, volendo riallacciarsi all'antichità lo rappresentano proprio come un serpente incoronato.

Non sappiamo con certezza se l'animale raffigurato appena sotto la nostra donnola/ermellino, evidentemente morto, debba essere interpretato come un basilisco (cosa a cui farebbe pensare proprio la presenza della donnola/ermellino) o un più generico drago. Ma abbiamo citato sopra le parole di Charbonneau-Lassay a proposito del terreno tutto bruciato intorno alla tana del basilisco. Pensando ai due alberi e al terreno rinsecchiti della nostra immagine, ricordiamo anche il Fiore di virtù, e proprio nell'edizione dei Gadaldini del 1571, capitolo 13, Della Crudeltà:

il basilisco nel *Fiore di virtù* stampato dai GadaldiniSi può assimigliare il vitio della crudeltà al Basilisco, che è un serpente, che uccide altri solo con il sguardo, e mai è in lui misericordia alcuna, & se non può trovare altro da intossicare, fa seccare li arbori, & le herbe, che li sono intorno con il sibilare, & con il suo crudelissimo fiato. [c. A15v]

Mentre c'è uno specifico, preciso rapporto fra il basilisco e il pozzo, altra figura presente nella nostra immagine:

A Genova nel IV secolo, si colloca, secondo la tradizione, la più importante apparizione di un basilisco [...]. Si narra che il re dei serpenti si fosse nascosto all'interno di un pozzo sito presso la chiesa dei Ss. Apostoli -- oggi dedicata a san Siro -- per appestare la cittadinanza con il suo fiato e il suo sguardo mortifero. [Borniotto 2012, p. 31]

I genovesi ripongono allora tutte le loro speranze nel santo vescovo della città, Siro, il quale ordina al basilisco, in nome di Gesù Cristo, prima di uscire dal pozzo poi di gettarsi in mare, liberando così la città. Si veda Borniotto 2012 anche per le immagini dell'affresco della chiesa di San Siro e il relativo bozzetto conservato al museo di Palazzo Bianco, a Genova, con il pozzo al centro della scena.


Drago

Se fosse di un drago che si tratta e non di un basilisco, nell'immagine del De die di Bonaventura Angeli, resterebbe in ogni caso confermata un'appartenenza al regno velenoso dei serpenti, nella loro relazione con la sfera diabolica.

Dans les pensées ordinaires de la masse des chrétiens d'aujourd'hui le dragon représente l'esprit du mal, Satan, roi des enfers [...]. Cette opinion [...], est conforme du reste avec celle des Bestiaires du Moyen-âge, et basés sur les textes scripturaires […]. Dans une pensée semblable les imagiers du Moyen-âge placèrent sous le talon de la Vierge Marie soit un serpent, soit un dragon vaincu, comme un écho à la parole de malediction: "la Femme t'écrasera la tête, et tu la meutriras au talon… " [Charbonneau-Lassay, p. 397, 399-400]


Pozzo

particolare dall'*Immacolata concezione* di F. Zurbaran, Barcellona, MNACIl pozzo della nostra vignetta, circondato da animali morti, da due alberi secchi e da un terreno arido, si presenta sbrecciato. Un'immagine di abbandono e di morte, appunto, in contrasto con quel che è il significato primario di fecondità del pozzo, da cui si attinge acqua, vita.

Così nel Cantico dei cantici (4,12-15) l'amico si rivolge all'amica:

Hortus conclusus, soror mea, sponsa, hortus conclusus, fons signatus; [...]
Fons hortorum, puteus aquarum viventium, quae fluunt impetu de Libano.

Pozzo di acque vive sarà poi, con altre immagini del Cantico (come il giardino chiuso e la fonte sigillata), una figura di Maria.

particolare da *La Trinità e l'Immacolata concezione* del Garofalo, Milano, Pinacoteca di Brera

Grifone e pesce

Il grifone, animale fantastico con corpo di leone e testa e ali d'aquila, è stato usato come figura di Cristo nella sua doppia natura umana e divina, e nella sua doppia regalità di signore del cielo e della terra (canto XXIX del Purgatorio di Dante). Ma qui si dovrà pensare a altri aspetti dell'animale: forse addirittura a quello opposto che ne fa un emblema di Satana (Charbonneau-Lassay, p. 376), supponendo che appartenga, col drago/basilisco e il pesce all'altro angolo alla base della vignetta, al gruppo di animali sconfitti dalla donnola/ermellino.

Ma potrebbe anche rappresentare qui gli animali del cielo e della terra, uccisi dalla presenza malefica del basilisco, come quelli dell'acqua rappresentati dal pesce, prima dell'intervento della donnola/ermellino. Sembra anzi quest'ultima l'ipotesi più sensata, vista la genericità del pesce la cui immagine non rinvia a nessuna specie particolare, e potrebbe quindi indicare proprio l'insieme degli animali acquatici.

segno cromito (tartaruga)

Bonaventura Angeli

Di Bonaventura Angeli si sa che, nato a Ferrara intorno al 1525, fu giurista, storico e letterato. Amico di Giovanni Battista Pigna, al servizio dei duchi d'Este, cadde poi in disgrazia dovendo lasciare la sua città e stabilendosi a Parma. Sarebbe morto probabilmente negli anni '90 del XVI secolo.

La vignetta che figura sul frontespizio e in fine del De die non la si è incontrata, almeno finora, su nessun altro libro stampato dai Gadaldini, né su altre opere di Bonaventura Angeli. Nel testo dell'opuscolo non troviamo niente che possa in qualche modo spiegare quest'immagine. L'operina di Angeli, come riferisce Barotti, II, p. 187, nella voce delle Memorie istoriche di letterati feraresi a lui dedicata, tratta "del giorno naturale, e dell'artificiale rispettivamente agli usi forensi". Niente a che vedere, almeno apparentemente, con le figure della nostra vignetta.

Crediamo che il senso dell'immagine possa avere a che fare con le vicende personali di Angeli. Torniamo a Barotti, II, p. 188-189:

Ma mentre occupavasi nel lavoro di queste, e d'altre Opericciuole [Barotti si era riferito nelle righe precedenti al De die, al De vertigine et scotomia e al De variis ac diversis iurisconsultorum nominibus] gli occorsero de' casi che il costrinsero a fuggir dalla Patria, e a cercarsi altrove ricovero, e sicurezza. Che casi fossero essi, quantunque Egli in qualche suo libro li tocchi, e se ne dolga, nissuno lo sa di certo. L'Arciprete Baruffaldi però risolutamente dice, che egli se ne andò per essere caduto in sospetto di Eresia, con tuttochè costi avere lui fatta nel tribunale del S. Ufficio la ritrattazione de' suoi errori. Ma non s'intende come essendosi ritrattato fuggisse, o se il sospetto dopo la ritrattazione ancor durava, come si fosse tenuto abbastanza sicuro soggiornando, siccome fece, ora in Ravenna, ora in Rovigo, ora in Parma, e in altri luoghi a Ferrara vicini. La Inquisizione l'avrebbe di que' tempi seguito dovunque, e raggiunto. Tal sorta di gente riparavasi di là da' Monti. Il Libanori recane un'altra ragione, ed è la necessità, che ebbe di sottrarsi alla infestazione di persone invidiose, e maligne. Non affermerò già che questa indubitatamente fosse la vera; pur sembra che si accordi meglio con quello che l'Angeli a sfogo dell'afflitto suo animo va accennando qua, e là, [...].

L'infestazione di persone invidiose, e maligne a cui, citando la Ferrara d'oro di Antonio Libanori, si riferisce Barotti, non potrebbe essere raffigurata dal basilisco o dal drago che ha fatto terra bruciata intorno a sé? E non potrebbe Angeli avere voluto rivendicare, di fronte alle calunnie dei suoi nemici, la purezza delle sue intenzioni e delle sue azioni con la figura dell'ermellino? In questo caso avrebbe dovuto essere sua anche la vittoria finale rappresentata dalla corona d'alloro.

(Certo se la vignetta dovesse essere riconosciuta, in futuro, in altre stampe dei Gadaldini non legate allo stesso autore, bisognerebbe cercare una diversa spiegazione. Ma le figure in gioco sono quelle che abbiamo visto, e il loro significato sembra debba avere comunque a che fare con l'azione velenosa e devastante di forze maligne di cui si preannuncia la sconfiitta).

Tra le poche date che abbiamo a proposito di Bonaventura Angeli c'è quella dell'anno in cui è costretto a lasciare Ferrara per Parma: il 1576, secondo Santini nella Enciclopedia italiana. Il De die, su cui compare la vignetta, viene pubblicato entro il 1572, perché dopo quella data Paolo Gadaldini non stampa più associando il suo nome a quello dei fratelli. Probabilmente quindi, se è giusta la nostra ipotesi sul senso dell'immagine, le aspettative da parte di Angeli di una sua vittoria contro chi lo calunniava si sarebbero rivelate infondate.